Storia di un vitigno millenario
Quando si parla di Cannonau di Sardegna in realtà si pensa subito alla Barbagia, la regione in cui si è avuta la maggiore concentrazione di vigneti e di ettari coltivati, ma la coltivazione ormai si estende anche a molte altre zone della Sardegna.
Per raccontare del cannonau bisogna partire da lontano
Fino a qualche anno fa, prima che gli studi archeologici e gli scavi portassero alla luce novità sorprendenti, molti studiosi ritenevano che fossero stati gli spagnoli ad importare il Cannonau dalla penisola iberica, nel XV e XVI secolo. Altri invece propendevano per una introduzione in Sardegna da parte dei Fenici.
La scoperta che potrebbe già riscrivere la storia della produzione di vino in Sardegna è arrivata dai risultati degli scavi nel Nuraghe Adoni tra il 1997 e il 2004. Qui a Villanovatulo infatti furono portati alla luce delle bacche disidratate con alcuni semi.
La scoperta di un acino d’uva in Sardegna databile intorno al 1200 a.C. è una scoperta eccezionale perché dimostra che già in epoca nuragica la coltivazione della vite era presente e diffusa nell’Isola.
Scavi archeologici in diverse aree della Sardegna hanno portato alla luce le piccole bacche anche in altri siti. Nel complesso Duos Nuraghes a Borore, a Villanova Franca, nella Valle del Tirso e persino nel Nuraghe Arrubiu.
L’acino del Cannonau nuragico
È senz’altro il ritrovamento nel pozzo nuragico di Sa Osa a Cabras a rendere tutto più interessante. Qui infatti, i vinaccioli sono stati trovati perfettamente integri e quindi è stato possibile risalire all’origine dei vitigni. Nel sito di Villanovaforru gli studiosi sono concordi nel ritenere che questi antichi vinaccioli appartengano ad una tipologia di vite selvatica riconducibile al Cannonau.
Studi recentissimi che insomma confermano che non furono gli spagnoli a introdurre il Cannonau in Sardegna, ma che era presente la coltivazione di una forma di vitigno autoctono. Nel Supramonte di Urzulei sono sopravvissute alcune viti millenarie, cresciute e sviluppatisi in luoghi impervi e per questo si sono preservate così a lungo.
Il Cannonau di Sardegna quindi sarebbe il vitigno più antico del bacino del Mediterraneo e d’altra parte, l’isola era considerata un’ottima terra per la coltivazione della vite.
Una storia che prosegue un po’ in sordina, ma alla fine del 1300 e precisamente tra il 1388 e il 1392, nella Carta de Logu viene imposta la messa a dimora di vigneti a tutti i possessori di terreni.
Riportiamo brevemente alcuni stralci ovviamente tradotti in Italiano.
Successivamente, nel 1596, il trattato di Andrea Bracci, nel De Naturali vinorum Historia, definisce la Sardegna come “Sardinia Insula Vina”.
Una cosa è certa, in Sardegna si produceva una gran quantità di vino e molto di questo serviva ad alimentare le tavole e i banchetti di corte.
Nella Messa nuova del Dottore Antioco Marcello Rettore di Mamoiada:
22. Vacche grandi, Vitelle 26. Cacciagione tra Caprioli e Cigniali 28. Castrati 740. Capretti, Porchetti, ed Agnelli 300. Galline 600. Pani di Zucchero 65. Pepe, garofani, e zafferano 50. Libbre, di pane, senza quello, che gli si offrì, 280. Starelli (o sia staja), un quintale di riso, un quintale di datteri, 5000. Uova, 50. Piati di mangiar bianco, 25. Botti grandi di diversi vini, molti confetti, più di 3000. Pesci tra grandi , e piccoli, e vi mangnarono più di 2500. Persone (chi sa per quanti giorni?).
L’origine del nome
Nella Scheda Ampelografica del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali si legge:
Il primo che ne ha fatto cenno fu il Manca che lo ha nominato “Cannonadu”; l’Acerbi lo chiama “Canonao”; il Moris “Cannonau”, classificandolo come Vitis praestaus nigra. Il barone Mendola nomina il “Cannonadu nieddu”, “Canonao”, “Cannono”. è descritto nei Bollettini ampelografici con il nome di “Canonao”, “Cannona”; in esso a pagina 76 è scritto “che, secondo le annotazioni fornite dal prof. Nicola Meloni, corrisponde all'”Alicante” di Spagna, al “Grenache” di Francia”, e a pagina 90 che “è identico al “Granaxa” di Aragona e al “Grenache” dei Francesi”. è chiamato inoltre: “Cannonaddu”, “Cananao”. E, secondo Cettolini, “Cannonatu” a Tempio e “Retagliadu nieddu” a Sorso. Alcune volte, frammisto tra le altre viti, si trova un clono, chiamato “Cannonao bastardu” o “selvaggio”, più vigoroso e con grappolo più spargolo, dovuto alla presenza di fiori autosterili.
Prima ancora che venissero scoperti i vinaccioli nuragici la maggior parte degli studiosi facevano risalire il Cannonau ad un vitigno della Spagna, dove in effetti ne esiste uno a bacca rossa chiamato “Garnacha” che gli assomiglierebbe molto. Nei documenti storici esiste anche un vitigno chiamato “Canonazo”, ma il nome potrebbe essere derivato da un’errata traduzione dei documenti.
Da questo nome si sarebbe poi arrivati alla trasformazione linguistica che ha dato il nome al nostro Cannonau, rendendolo di fatto un vitigno esportato dalla penisola iberica. Tutte le scoperte recenti hanno rimesso in discussione questa tesi anche dal punto di vista linguistico.
Molto interessante anche la teoria sul significato di “Garnacha”, traduzione dal termine latino “vernaculus”, termine latino: “agg relativo a schiavo nato in casa, domestico”, termine forse utilizzato dai romani per indicare i vitigni autoctoni di una determinata zona e non una traduzione del vitigno stesso.
Per cui è molto verosimile che questo vitigno, assai diffuso in Sardegna prima ancora dell’arrivo degli spagnoli, fosse conosciuto come vernaculus, prima ancora di divenire Cannonau. Ma chiaramente anche queste sono solo teorie.
Il vitigno Cannonau
Il vitigno Cannonau è una varietà a bacca nera a foglia di media grandezza, reniforme od orbicolare, generalmente trilobata, di un colore verde molto lucente. Il grappolo è di media grandezza, serrato o semi-serrato (per leggera colatura), conico o cilindro-conico, qualche volta alato, peduncolo di media grossezza. Acino medio, rotondo o sub-rotondo, sezione trasversale regolare; buccia sottile e consistente, di colore nero-violaceo, molto pruinosa, succo leggermente colorato in rosa.
Il periodo di maturazione del cannonau che è medio-tardiva, va in genere da fine settembre al mese di ottobre.
Dalla sua vinificazione si ottiene un vino liquoroso, oltre a questo classico, si ottiene anche il vino rosato.
Il Cannonau di Mamoiada
La coltivazione della vite a Mamoiada ha anch’essa origini remote, ma sino alla metà del secolo scorso, solo poche famiglie producevano vino. Il territorio era per la maggior parte adibito a pascoli e la pastorizia è sempre stata una delle fonti principali di reddito.
Nel censimento del 1841 si legge: “Non molto estesi i vigneti e i sughereti; circa 15 mila gli alberi, soprattutto fruttiferi”.
Nel 1967 Mamoiada ha 3198 abitanti, quasi 700 in più di adesso. “Prevale la cultura non del grano ma della vite, la quale presenta oltre 1 milione di ceppi: rispetto a Mamoiada, l’uva passa è anche oggi la materia prima per il dolce sardo, “su papassinu”, vaste estensioni sono seminate a medicai”. “I Vignaioli hanno una moderna cantina sociale”. (Da Mamoiada Paese della Sardegna Centrale – Raimondo Bonu).
Negli anni ’60 infatti, nacque la Cantina Sociale di Mamoiada, liquidata negli anni ’70 e oggi Cantina Puggioni. Attualmente, grazie al lavoro svolto dalle due associazioni, Mamoja e Vignaioli in Mamoiada, si contano oltre 200 produttori, 30 cantine di piccole e medie dimensioni e ben 300 ettari di vigneti.
Nel territorio è prevalente la coltura ad alberello ed abbiamo ancora parecchi vigneti con viti secolari. Esiste anche un toponimo “Fittiloghe” che significherebbe proprio “Luogo di Viti“. Da Fitti, vitis e loghe lucus. Ma potrebbe anche avere altri significati. Anche queste sono solo ipotesi. Interessante anche questa ipotesi: “[lat. fīctus, part. pass. volg. di figĕre «figgere» (class. fixus)]. – 1. Ficcato, conficcato: un palo f. in terra; quattro grossi chiodi “
Fittiloghe potrebbe anche essere “luogo di perdas fittas”, pietre fitte e nelle vicinanze si trovano ancora infissi sul terreno alcuni menhir.
Parallelamente all’incremento della produzione vinicola, Mamoiada sta diventando un punto di riferimento dal punto di vista del turismo enogastronomico e molti produttori si stanno organizzando per offrire esperienze guidate sia in Cantina che nei vigneti.
Foto storiche anni ’50 circa. Nella prima immagine, accanto al carro carico d’uva il sacerdote Don Murgia che officiava a Mamoiada negli anni ’50. A destra una vendemmia.
Su pastinu
Su pastinu è la messa a dimora delle barbatelle, la prima fase in cui un terreno preparato inizia ad avere realmente l’aspetto della vigna. Da questo momento occorreranno alcuni anni perché la vigna diventi produttiva.
L’aratura
Un’altra fase fondamentale è l’aratura, eseguita meccanicamente quasi ovunque tranne che in zone come appunto Mamoiada in cui a causa della ridotta distanza tra i filari in molte vigne un trattorino non potrebbe passare. Solitamente si tratta di vigne antiche con piante anche centenarie che richiedono una certa attenzione.
Quella dell’aratura è una giornata speciale ed è emozionante vedere il giogo di buoi al lavoro, un esempio di simbiosi tra l’uomo e animale e di perfetta coordinazione ed intesa tra i tra i due buoi.
Se vuoi assistere all’aratura tradizionale del vigneto Clicca qui
La vendemmia
La vendemmia è un altro momento topico, atteso da tutti e che va a coronare un annodi lavoro e di sacrifici. Si tratta spesso di una operazione condotta “in famiglia” assieme ad amici e parenti con un sapore di festa e molto tradizionale.
Bibliografia e riferimenti:
- Sardegnaagricoltura.it
- Catalogo Nazionale delle varietà di vite – MIPAF
Per approfondimenti:
✔ Il Vino in Sardegna. 3000 Anni di Storia.
✔ Cannonau Elisir di Lunga Vita: Vini e Vitigni della Sardegna vol.1
✔ Il consumo cerimoniale del vino: dal Vicino Oriente alla Sardegna e Spagna (secoli IX e VIII a.C.)